domenica 9 marzo 2008

I nostri sepolcri



“Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri”. Questa è la solenne promessa di Dio proclamata da Ezechiele. Con la risurrezione di Lazzaro, Gesù dimostra la veridicità di questo annuncio, di questa bella notizia, di questo “vangelo”. A questo punto potremmo fermarci a ripeterci la frase: “Gesù è la nostra vita”. Fermiamoci, invece, con Gesù davanti a quel sepolcro. Gesù si era già trovato davanti alla morte, sconfiggendola. Aveva risvegliato dal sonno la dodicenne appena morta, aveva riconsegnato alla madre il giovane figlio, ormai accompagnato alla sepoltura. Adesso il suo amico giace già da tre giorni nel sepolcro, ed è già in putrefazione. La morte sembra ormai aver agguantato inesorabilmente la sua vittima. Davanti a questa vita, che ormai puzza di morte, Gesù piange. Non è un cedimento al sentimentalismo. Non è nemmeno una semplice e commovente manifestazione di amore per Lazzaro, come pensano i Giudei. E’ un messaggio. E’ “il messaggio”: Dio non vuole la morte, come a volte una disastrosa predicazione ha indotto a credere, ma vuole la vita. Ma se Dio non vuole la morte, da dove sbuca? Perché, se noi non la vogliamo - e di certo non la vogliamo!” - qualcun altro la vuole per noi. E questo qualcun altro non può essere che Dio. La Bibbia risponde: “La morte è entrata nel mondo con il peccato”. Questa risposta a noi dice poco o niente. Comunque non ci convince. Allora? Non ci rimane altro che, come Giobbe, mettere la mano alla bocca e non chiedere più, accettando il nostro limite di creature? No! Perché, a differenza di Giobbe, noi abbiamo Gesù che piange davanti alla tomba di Lazzaro. Certamente nemmeno questo fatto ci basta, esso però ci rassicura. Sì, Dio non vuole la nostra morte, e, come Gesù, piange davanti a ogni morte, come Gesù davanti a quella di Lazzaro. Certo, noi vorremmo che per ogni morte, ci fosse quel grido “a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!”. Se questo non è possibile, come anche la nostra debole intelligenza arriva a capire, quel grido ci garantisce la vita che dura per sempre, cioè la sconfitta vera della morte.
Restiamo ancora con Gesù davanti al sepolcro, mentre il suo amico esce da sepolcro, per domandarci: perché Gesù lo riporta alla vita, quando poi, di nuovo sarebbe dovuto finire nel sepolcro? Se Gesù fosse stato un religioso fanatico, avrebbe detto alle sorelle di Lazzaro: “Abbiate pazienza! Non piangete! Adesso vostro fratello è in paradiso. Ora finalmente non piange più in questa valle di lacrime. Ora ha raggiunto la vita vera”. Invece no! Gesù piange per la morte dell’amico, ma lo riporta in questa vita, perché è “questa vita” la vita che Dio ama. E la ama a tal punto da farla durare per sempre. Se questa vita fosse da prendere quasi come una punizione, una volta finita, Dio ce ne avrebbe data un’altra, nuova di zecca, diversa. Invece no! E’ questa vita che Dio fa continuare per sempre. Il pianto di Gesù per la morte del suo amico è lo stimolo più forte che possa esistere ad amare la nostra vita, questa nostra vita, ogni vita. Perché se Dio ama la nostra vita, se Gesù ama la nostra vita, dobbiamo amarla anche noi. Con tutte le forze. In tutti i modi. Sempre. In tutti, nessuno escluso. Soprattutto nei più deboli. Non dobbiamo sprecarne nemmeno un istante. Dobbiamo difenderla con i denti dalla morte e dalla sua corte: sofferenza, dolore, angoscia. Per amarla sul serio, però, dobbiamo farla uscire dai sepolcri. Dalla tomba del cimitero uscirà quando arriverà il suo tempo. Ma dal sepolcro vero, quello che la farebbe marcire per sempre, deve uscire ogni giorno. Per evitare questo sepolcro, è necessario uscire ogni giorno dai sepolcri: tutto ciò che la rende banale, volgare, inutile, umbratile, nemica della vita degli altri. Se vogliamo sentire il grido “a gran voce”: “Vieni, fuori!”, dobbiamo uscire dai sepolcri che ci impedirebbero di sentire quel grido. Questo vuol dire convertirsi ogni giorno.
Avvicinandosi la Pasqua, sentiremo parlare tantissimo di conversione.Questa parola, purtroppo, è spesso intesa come una rinuncia alla vita, come un sottrarre qualcosa alla sua pienezza e alla sua gioia. Se la intendiamo così, parleremo di conversione, ma non ci convertiremo mai. Perché non possiamo andare contro l’amore alla vita. La vera conversione è combattere e superare tutto ciò che indebolisce, ferisce, danneggia la vita - nostra e degli altri - togliendole verità, bontà, bellezza, gioia. Certo, questa operazione richiede dei no, anche molto duri e faticosi. Ma questi “no” sono un mezzo per raggiungere dei “sì” più grandi. I “no” che la conversione ci chiede non sono rinunce, ma conquiste.