Publico alcune parole sui cristiani in politica di Don Tonino Bello che ci ha lasciati troppo presto.
La sua lungimiranza si nota tantissimo in questo scritto del 1987 (21 anni fa!). Da allora troppo poco è cambiato, troppo poco noi cristiani ci siamo messi davvero in gioco. Troppo poco gli uomini hanno servito con onore gli altri uomini.
Come vede la presenza dei cristiani nel sociale e nel politico?
Anzitutto, non solo sono convinto di quanto afferma la Gaudium et spes, che parla della politica come di “un’arte nobile e difficile”, ma condivido in pieno l’espressione di Paolo VI, il quale afferma che “la politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”.
Penso, pertanto, che il credente, oggi più che mai, debba accettare il rischio della carità politica, sottoposta per sua natura alla lacerazione delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell’errore costantemente in agguato.
Il cristiano, in pratica, imbocca la Gerusalemme-Gerico; non disdegna di sporcarsi le mani; non passa oltre per paura di contaminarsi; non si prende i fatti suoi; non si rifugia nei suoi affari privati; non tira diritto per raggiungere il focolare domestico, o l’amore rassicurante della sposa, o la mistica solennità della sinagoga. Fa come fece il buon Samaritano, per il quale san Luca usa due verbi splendidi: “Ne ebbe compassione” e “gli si fece vicino”.
È un mestiere difficile, non c’è dubbio. Non solo perché richiede la coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento della sua laicità. Ma anche perché deve evitare la tentazione, sempre in agguato, dell’integralismo: diversamente si ridurrebbe il messaggio cristiano a una ideologia sociale.
In concreto, come si caratterizza l’azione politica del credente?
Il cristiano che fa politica deve avere non solo la compassione delle mani e del cuore, ma anche la compassione del cervello. Analizza in profondità le situazioni di malessere. Apporta rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato. Non fa delle sofferenze della gente l’occasione per gestire i bisogni a scopo di potere. Paga di persona il prezzo di una solidarietà che diventa passione per l’uomo. Addita in termini planetari e senza paure, i focolai da cui partono le ingiustizie, le violenze, le guerre, le oppressioni, le violazioni dei diritti umani.
Sicché, man mano che il cristiano entra in politica, dovrebbe uscirne di pari passo la mentalità clientelare, il vassallaggio dei sistemi correntizi, la spartizione oscena del denaro pubblico, il fariseismo teso a scopi reconditi di dominio.
Utopie? Forse. Ma così a portata i mano, che possono finalmente diventare “carne e sangue” sull’altare della vita.
(27 febbraio 1987)
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